Thursday, 25 April 2024

Informazione dal 1999

Cultura, Olbiachefu, Storia

Il carnevale olbiese ottocentesco e le Società del Buonumore

Il carnevale olbiese ottocentesco e le Società del Buonumore
Il carnevale olbiese ottocentesco e le Società del Buonumore
Marco Agostino Amucano

Pubblicato il 11 February 2018 alle 13:01

condividi articolo:

Olbia, 23 febbraio 2020- "Il carnevale in Gallura s’aspetta con desiderio vivissimo,ansia indicibile, perché per quanto dura, tutti indistintamente - meno che non ne sieno impediti a cordoglio o dagran malore - uomini e donne, piccoli e grandi, ricchi e poveri, cercano darsi bel tempo e godere d’una vita spensierata esibarita, che rasenta di molto la felicità. Tutto quanto v’è dimale nella vita umana: afflizioni, tasse, debiti, tutto allora sidimentica, né si pensa che in quaresima si piange soventequello che si gode in carnevale."

[caption id="attachment_93658" align="aligncenter" width="780"] Francesco De Rosa in una nota immagine scattata pochi anni prima della sua morte (Archivio M. Agostino Amucano)[/caption]

Con questo elegante ed efficace incipit Francesco De Rosa (Terranova Pausania 1854 – 1938) dava inizio al capitolo sul carnevale gallurese nel libro che più ce lo rende famoso: Tradizioni popolari di Gallura, pubblicato nell’anno 1899. Ancora ricordato col soprannome professionale di Mastru Ziccu, De Rosa fu maestro elementare, nonché illustre intellettuale e studioso di antichità e delle tradizioni popolari del suo tempo, per la cui raccolta collaborò con la giovane Grazia Deledda (1). A lui è stato da pochissimo (e finalmente!) dedicato un importante piazzale nella città che gli diede i natali e per cui tanto si prodigò. Nel nostro contributo sulla conoscenza dell’antico, scomparso carnevale di Terranova, abbiamo voluto riportare i passi dove il De Rosa folklorista ci parla delle Cucine, o Società del Buonumore, le quali come lui stesso ci dirà, erano ormai cadute in disuso al termine dell’Ottocento. Ci immaginiamo da non moltissimo tempo rispetto a quando il De Rosa le descrive, stante la dovizia e precisione dei dettagli riportati. I brani che riportiamo sono stati tratti per comodità dall’ultima edizione del 2003 delle “Tradizioni”, curata da Andrea Mulas per i tipi dell’editrice nuorese Ilisso:

" A Terranova nel carnevale si formano le così dette Cucine, o Società del Buon Umore, composta ciascuna di venti opiù persone, le quali versano una rosa di cinque lire, pergozzovigliare negli ultimi tre giorni di carnevale. Venuta ladomenica di carnevale, le società vanno attorno per il paese,con alla testa il coro cantando l’andira andira e recandosi atutte le case, dove non siavi corrotto, presso alla cui portadanno principio al canto con cui elogiano i membri della famiglia, augurando loro un felice carnevale ed una lunga eprospera vita. Ottenuto il permesso, entrano in casa, e ricevuto il dono, qual ricompensa del canto, ringraziano, esconoe s’avviano ad altra casa."

[caption id="attachment_93656" align="aligncenter" width="793"] I fratelli Anita e Antonio Amucano in una foto del carnevale del 1923 (Archivio Amucano)[/caption]

Dopo aver precisato che l’andira, o a l’andira andira veniva cantato pure negli altri paesi di Gallura, così prosegue:

"Parte dei soci fin dal mattino si portano alle vicine cussorgie, uno per ognuna di queste a chiedere, come qui si dice,“il carnevale”. I pastori li accolgono benevolmente e regalanoloro qualche agnello o capretto o gallina o pollastro o lardo esalsiccia o qualche forma di cacio ed altri latticini, e tutti riedono al paese col cavallo, che si curva sotto il grave carico dei raccolti regali.Oltre a ciò i soci entrano nelle case, massime in quelle in cui non vi sono padroni, a rubarvi di soppiatto o rapirvi salami, prosciutti, salsicce, lardo, pane, vino equant'altro trovano che serva a satollar e innaffiar lo stomaco,e tutto ciò senza che il povero padrone si possa lamentar neppure; anzi, come dice il proverbio francese il faut faire bon visage à mauvaise fortune, se non vuol patirne, oltre ildanno, le beffe: imputando tutti l’accaduto alla sua imprevidenza, che non seppe nascondere e togliere all’altrui vista lecose involate in un tempo in cui, per antica costumanza, è lecito far man bassa sulle altrui provvigioni di bocca.I cucinieri traggono in arresto, usando della forza, se non si arrendono volontariamente, quelli che incontrano pervia, cui sanno in grado di poter pagare una multa pel lororiscatto, che varia dai venticinque centesimi alle cinque lire.Chi si rifiuta pagare, viene legato con una corda alla cintura e sospeso in alto col mezzo d’una carrucola, attaccata ad untrave della casa e lasciato in tal positura finché si decida apagare. Tal supplizio viene anche inflitto a quei cucinieriche non fanno ritorno alle ore stabilite per mangiare, o mancassero all’appello o contravvenissero a qualche articolo delloro regolamento sociale: punizione da cui si possono sottrarre pagando una multa di cinquanta centesimi.

Con la retta sociale e con quanto hanno raccolto cantando all'andira andira, andando in giro per gli stazzi e rubatonelle case, gozzovigliano lautamente gli ultimi tre giorni dicarnevale, regalando ciò che avanza alla padrona della casa dove si tenne la cucina, e che fece da cuoca dei soci. Ora queste Cucine non sono più in uso, come pure quello di girar per gli stazzi, di rubare nelle case e di multar lepersone, e a esse si sono sostituite le sale da ballo col contributo di coloro che, per tener queste aperte durante il carnevale, si uniscono in società: nelle quali sale, non più le tradizionali danze si balla, ma i così detti balli civili."

[caption id="attachment_93657" align="aligncenter" width="4105"] Attuale Piazza Matteotti in una cartolina dei primi anni del Novecento (reperibile sul web)[/caption]

Dopo averci informato su quanto accadeva nei carnevali di Luras, Calangianus, Aggius e Bortigiadas, paesi tutti dove il maestro De Rosa aveva insegnato da giovane, egli riprende così a descrivere la funzione che le Società del Buonumore svolgevano per l’ultimo giorno di carnevale:

"Verso le tre di sera del martedì le società del Buon umore solevano in Terranova portare in processione per le viedel paese il buon Giorgio (come da essi appellasi il camevale), rappresentato da un busto, tolto alla polena d’un bastìmento, che torreggiava sopra una grossa botte piena di vino,tirata su di un carro dai buoi, attorno al quale si vedevano quattro damigiane, che rappresentavano altrettanti ceri, e dietro il carro venivano, ordinate in due fila, i soci con una bottiglia di vino in mano, lentamente procedendo e salmodiando buffoneschi inni, serrati da una folla di persone, fra cuitutti i fanciulli del paese. Giunti alla porta d’una bettola veniva fermato il carro e con esso quanti l’accompagnavano e ivifra i canti, le grida di gioia e gli schiamazzi, si beveva ripetutamente. Quindi dopo aver ripienato i recipienti vuoti, venivacontinuata la processione fino a che ogni bettola avesse ricevuto l’onore d’una Visita dall’allegro corteo: il quale si ritiravaverso il tramonto, quando tutti erano ebri o avvinazzati."

Con quest’ultima processione buffonesca e parodistica di uomini avvinazzati il carnevale olbiese si avviava alla sua definitiva conclusione. Ai lugubri tocchi di campana a morte della mezzanotte tutto sarebbe finito in piazza, con la morte sul rogo del “carnevale Giorgio”. Dopo lo stordimento di pochi giorni, la vita sarebbe ripresa normale nei suoi quotidiani ritmi, per entrare nella Quaresima, che al tempo non era solo un nome vuoto e incomprensibile come lo è diventato per molti, oggi.

  1. Per saperne di più su questa straordinario ed eclettico intellettuale olbiese ci permettiamo di consigliare la lettura del nostro volume: Francesco De Rosa. Frammenti di un'opera inedita. Il Quaderno X e le lettere ad Angelo De Gubernatis, La Maddalena-Bolzano 2012, Paolo Sorba editore.
©Marco Agostino Amucano