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A nonno Giovanni Panedda

A nonno Giovanni Panedda
A nonno Giovanni Panedda
Dionigi Pala

Pubblicato il 20 March 2016 alle 14:02

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A nonno Giovanni Panedda
In quegli anni, nonno, conservavi ancora intatta lalucidità dei ricordi.
Nonera difficile provocarti al racconto delle tue vicende giovanili. Ed era come se leggessi dalle pagine appenascritte d’un tuo diario: sempre le medesime parole sostenute da un tono di vocedeciso; sempre i medesimi gesti disegnati nell’aria con mani nodose e possentiirrobustite “bussando” per anni migliaia e migliaia di forme di pecorino romano.E ai tuoi occhi, ora dolci, ora torvi, ora cupi, si affacciava pure una lacrima.Volavisempre fra Soresina e Velletri…, e sempre incontravi Peppone che, poverodiavolo, cessò di minacciarti solo quando gli si ruppe una gamba per un tuo corfu ‘e jembro…
Poi… la guerra…
“Monte Tzimone, monte Tzentzo, li altopiani di Asiago e la Bainsitza…!”.Edicevi di quando, costretto al riparo da una pioggia incessante di scrapnelaustriaci, gridasti rivolto al nemico “Savita m’as a leare ma su tzucculatte non bi lu ‘ides…!”. Quindi daltascapane cavasti un chilo di cioccolata in panetti pazientemente conservatiper casa e iniziasti a mangiare aspettando la fine.Infinenon mancavi di ricordare il tuo amatissimo cognato Dionigi Sanna, il primo deitanti Dionigi di famiglia…:
… Diunisi… Eh!. Connatu meu… Candho est partitu pro sa gherra, a manneddha tua apo natu “Jiuà, a Diunisi no lu ‘idimus prus!…” E gai est istatu…! Cuddhu mischinu…!
Orache sai e che puoi, per tutte le volte che ti chiamammo “mulattiere”, e non“bersagliere”, perché gioivamo nel vederti sobbalzare sulla sedia indignato,perdonaci nonno!
Pertutte le volte che fischiettammo la marcia dei bersaglieri per vedere i tuoiocchi imperlarsi di lacrime, perdonaci nonno!
A presto,
Niséddhu
**************
Dalloscarno racconto del triste addio all’ “antico” Dionigi,
poetabittese soprannominato Raspitzu,ho tratto ispirazioneperscrivere una breve novella.
Verso il San Michele... In memoria di Dionigi Sanna(Raspitzu)

La quercia secolarelevava le sue fronde poco prima dell'ultimacasa che segnava il limitare del piccolo centro, a Nord, prima che la polverosa strada tormentata da milleinspiegabili curve, si allontanasse dal paese verso Buddusò. Fissato malamenteal tronco, un cartello semiarrugginito segnava il punto in cui, giornalmente,faceva sosta la vecchia corriera che collegava Bitti col lontano porto di Terranova.Era dagli abbracci, dagli addii più o meno commossi che ci si scambiavaall'ombra di quell'albero che aveva spesso inizio, per molti, una vita, almenoda principio, ricca di promesse, di testimoniate certezze dispensate a pienemani da tutti coloro che, in passato, avevano avuto la forza, il coraggio disalutare madri piangenti, spose rassegnate al dolore di sentirsi strappar viala parte più importante della loro travagliata esistenza.Tutto per un sogno difortuna appena intravisto ma accarezzatoa lungo per le promettenti parole di unAntoni,di unJuanneche, dopo aver anch'essi atteso l'arrivo della medesima corriera, forse, sotto la vecchia quercia,certamente, avevano da tempo scelto di porre fra sé ed il passato un mare maiprima visto, alla disperata, ma pur fiduciosa, ricerca di giorni felici oppureamari, ma di certo diversi da quelli che si erano lasciati dietro, avvolti daun turbinio di polvere sollevato da uno sgangherato autobus in un afosopomeriggio di tanto tempo prima.Quel giornotre figure mute, apparentementeestranee fra loro, sostavanoall'ombra di quell'albero. Tre giovani volti che invano tentavano di nascondere,dietro un disperato silenzio, l'acuto dolore di un forzato distacco. Giovannaaveva ormai pianto tutte le sue lacrime: tante e a lungo, infatti, ne avevaversate nell'illusione, nell'attesa che quello stesso carabiniere che giorniprima aveva affidato proprio a lei la chiamata alle armi del caro fratelloDionigi, si ripresentasse foriero della bella notizia della fine delleostilità. Giovanni, il suo giovane sposo, pareva solo spazientito per ilritardo della corriera. A tratti, infatti, facendosi riparo dal torrido solecon la destra portata alla fronte, scrutava il curvone, laggiù d'onde sarebbedovuto sbucare, ruggente, il postale di linea. "Non abbiatepaura per me", ripeteva ancora Dionigi, "Pensate davvero che nonsappia badare a me stesso? Dimenticate, forse, che proveniamo tutti da unaterra nella quale siamo perennemente in lotta contro un nemico capace dicolpirti alla schiena, facendosibalentesolo perché alleato delle tenebre e...

"Sai bene Diunì',lo interruppe Giovanna con tono deciso, sai bene che questi sono pericoli che noi, la nostra famiglia non corre: perché, grazie a Dio, siamo stati educati arispettarlo il nostro prossimo, se proprio non ci riesce di amarlo come ilSignore comanda.

"Certo, sorellamia!", si affrettò a rassicurarla Dionigi.

E Giovanni, che fino a quel momento si era astenuto dal proferireparola:

"Sìesfómine, Diunì'! Sii uomo fino in fondo, cognato mio; e nonrischiare inutilmente lapelle. Ma, soprattutto, ti raccomando di farti onore, tu e ituoi compagni sardi!", si limitò ad esortare. E subito distrasse losguardo, mano alla fronte, rivolgendolo per l'ennesima volta verso il curvone,poiché gli occhi stavano per tradire il suo cocente dolore.

A Dionigi, lui, volevaun bene smisurato, come fosse un fratello. E al vederlo partire, strappatoall'affetto dei suoi cari, così giovane, per essere spedito al fronte, sentival'animo pervaso da infinita tristezza.Gli tornarono improvvisi alla mente mille ricordi...: di quella voltache gli era stato presentato da un amico, a Gorofài, il giorno della festadella Vergine del Miracolo... e sua sorella Giovanna che, pudicamente rimastain disparte, lo aveva degnato d'un rapido sguardo... Ed erano stati quegliocchi incontrati per caso, fuggenti anchepochi giorni dopo, alla fonte dove lei era solita recarsi ad attingerel'acqua, a far nascere nel suo cuore un sentimento che, col tempo, sarebbediventato talmente intenso e profondo da rasentare la venerazione per quellapiccola donna alla quale, un giorno che ancora gli pareva ieri, avrebbe chiestoil permesso di starle accanto per tutta la vita...

E di quella volta... Ah, quella volta...!

Era, inlui, ancora vivo il ricordo diuna tarda serata quando, dopo una lunga giornata dispossante lavoro, seduto in compagnia di Dionigi e di alcuni amici a godere delfresco ristoratore nello slargo più ampio del paese, era stato fatto segno, daparte d'un suo coetaneo, di ammiccanti allusioni al sentimento, non più segreto, ch'egli covava in cuore per Giovanna.L'uomo, che s'era sentito toccare a sproposito negli affetti, avevaavuto uno scatto e, balzato in piedi minaccioso...

Era stato Dionigi, piazzatoglisi improvvisamente davanti, ad impedire che l'incauto compagno ricevesse una severa lezione... Poi, cogliendo al volo l'occasione propizia chegli si era offerta, aveva imbastito, improvvisandoli seduta stante, alcuniversi che, oltre a calmare definitivamente gli animi, da quel giorno sarebberostati il motivo del nomignolo che avrebbe accompagnato Giovanni per il resto dei suoi giorni.

Mi pares un'istrìchidha, Juanne... Mi sembri una scintilla, Giovanni...

Ses vénnitu a pasare in sa friscura Sei giunto qui per riposare al fresco

poi de una die 'e travagliu in sa calura. dopo una giornata di lavoro al caldo.

S'ómine viu ti cheres mannicare Vorresti mangiar vivo l'uomo

pro su ch'at natu sentza 'e bi pessare.per ciò che ha detto senza riflettere.

Però... Però...

Mi pares un'istrìchidha Juanne... Mi sembri una scintilla, Giovanni...

Non credo ch'appas gana 'e sudorare; Non credo tu abbia voglia di sudare;

quindi non b'at bisóntzu 'e l'arrustire quindi non è il caso di arrostirlo

pro su ch'at natu sentza 'e bi pessare per ciò che ha detto senza meditare

s'ómine chi ti cheres mannicare. l'uomo che vorresti divorare.

Però... Però...

Mi pares un'istrìchidha Juanne... Mi sembri una scintilla, Giovanni...

'Idimus chi ses niéddu che furési Ora ti vediamo incollerito

ma sichi su cussitzu de Diunisi: ma segui il consiglio di Dionigi:

cuntentati de aer istrichidhàtu! accontentati d'aver fatto scintille!

Meta no est, ma resta soddisfatu. Non è molto, ma considerati soddisfatto.

Però... Però...

Sa limba la devimus cuntrollare Dobbiamo controllare la lingua

pessandhe vene prima de 'aeddhare. riflettendo bene prima di parlare.

L'atzis cumpresu su chi bos so nandhe? Capite, ciò che vado dicendo?

Abba a su 'ocu como sun ghettandhe Ora gettano acqua sul fuoco

Diunisi Sanna e "Istrìchidha" Juanne. Dionigi Sanna e "Scintilla" Giovanni.

Furono il leggero tocco della mano di Giovanna sulla sua spalla el'affettuoso abbraccio di Dionigi, accompagnato da un commosso "Adiósu, Juà'", a rubarlo ai ricordie a restituirlo all'amarezza dell'addio. Un groppo alla gola gli tolse quasi ilrespiro quando la corriera si portò via il giovane lasciandosi dietro unturbinio di polvere.Quella notte Giovanni non riuscìa chiudere occhio. Si sentiva pervaso da un’infinita tristezza e da un senso divuoto che da quel giorno, e per lungo tempo, lo avrebbe angosciato. Fissò alungo ora il soffitto, popolato di ombre traballanti, ondeggianti, tenute invita dall'incerto chiarore diffuso dalla vecchia lampada ad olio posta sulcomodino; ora i neri capelli dell'amata consorte. Anch'essa vegliava e,sottovoce, pregava... "Angelo di Dio, che sei il suo custode...

Passarono i giorni...

L'Angelo del Signore attese che Dionigi fosse più vicino al cielo, sulSan Michele, di notte; lo prese per mano e si levarono, in alto, verso lestelle.

********* Sanna Dionigio di Mauro Decorato di Medaglia di bronzo al V.M Soldato del 152° regg. Fanteria, nato il 19/09/1988 a Bitti, distretto militare di Sassari, morto il 29/11/1915 sul Monte S. Michele per ferite riportate in combattimento. Albo d’oro dei Militari caduti nella Guerra Nazionale 1915 – 1918 Ministero della Guerra