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Cronaca

Olbia. La tragedia del Moby Prince: la Commissione è a una svolta

Olbia. La tragedia del Moby Prince: la Commissione è a una svolta
Olbia. La tragedia del Moby Prince: la Commissione è a una svolta
Angela Galiberti

Pubblicato il 06 August 2017 alle 12:56

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Olbia, 06 agosto 2017 – Sono passati 26 anni e qualche mese da quella terribile notte che ha cambiato per sempre l’immaginario e la concezione dei viaggi in nave: la notte in cui, per cause ancora non del tutto chiarite, sono morte 140 persone a bordo di un traghetto incendiato. Era il Moby Prince la nave ‘trasformatasi’ in una enorme torcia di fuoco sull’acqua nella notte del 10 aprile 1991: era partita alle 22:03 dal Porto di Livorno in direzione Olbia, porto Isola Bianca. A bordo vi erano 140 persone: il comandante Ugo Chessa e il suo equipaggio con 75 passeggeri. Alle 22:25 – a pochissime miglia dal porto livornese - ecco l’impatto con l’Agip Abruzzo, il petrolio sulla nave, le scintille, l’inferno. A Olbia, quella nave, non è mai arrivata.

Incontriamo Loris Rispoli a Livorno, a pochi passi dal memoriale dedicato alle 140 vittime del Moby Prince situato a pochi metri dal mare e dal porto Mediceo della città. Beviamo un caffè insieme, parliamo di Livorno e di quella immane tragedia che ha cambiato per sempre la vita di 140 famiglie. Loris, che su quella nave ha perso sua sorella Liana Rispoli - una splendida giovane donna di 29 anni, commessa nella boutique di bordo – è il presidente dell’associazione “Io sono 141” che raduna i familiari delle vittime. In questi 26 anni, la tragedia del Moby Prince non ha mai trovato la parola ‘fine’: i processi celebrati non hanno trovato colpevoli, le ricostruzioni fatte non hanno mai convinto e – come in ogni tragedia italiana – sono rimasti troppi i misteri da chiarire.

Per anni, Loris e i familiari delle vittime hanno lottato per avere la riapertura del processo e la commissione parlamentare d’inchiesta: quest’ultima è stata ottenuta e sta andando avanti senza sosta, raccogliendo elementi importanti. Almeno, questo è ciò che traspare dalle parole di Loris Rispoli: parole stanche, ma anche piene di speranza: “Noi vogliamo solo sapere la verità”.

L’obiettivo della Commissione d’Inchiesta e l’eventuale riapertura del processo è quello di dare finalmente pace ai familiari delle 140 vittime. Una pace che in questi 26 anni non c’è mai stata: a loro, a queste famiglie, è toccata una vera e propria lotta contro i mulini a vento. Sono tanti gli aspetti da chiarire nella tragedia del Moby Prince: il perché dell’impatto con la petroliera Agip Abruzzo e la sua posizione, la presenza in rada di numerose navi e il presunto traffico illegale di armi tra l’Italia e la Somalia, lo stato di funzionamento dei sistemi di bordo, il ritardo nei soccorsi e quanto tempo sono rimasti in vite i passeggeri e i membri dell’equipaggio. La domanda fondamentale è: potevano essere salvati?

Stando a quello che emerge dai lavori della Commissione d’inchiesta, sarebbero stati trovati altissimi valori di monossido di carbonio nelle vittime – spiega Loris Rispoli -. Se questo dato venisse confermato, il lavoro della Commissione darebbe ragione a ciò che diciamo noi da 26 anni e cioè che non sono morti tutti bruciati in 30 minuti”. Questo è il dato cruciale, il sacro graal della tragedia Moby Prince: sapere che le vittime hanno vissuto di più cambia totalmente lo scenario nella rada di Livorno la notte del 10 aprile 1991.

Al di là della posizione dell’Agip Abruzzo, del traffico d’armi, delle presunte dichiarazioni dell’unico sopravvissuto Alessio Bertrand (smentite dallo stesso davanti ai parlamentari della Commissione), diventa cruciale il ruolo dei soccorsi e delle comunicazioni intercorse tra i vari soggetti presenti in rada. I soccorritori, infatti, si sono tutti concentrati sull’Agip Abruzzo mentre la Moby Prince – completamente avvolta dalle fiamme – si era allontanata di qualche miglio e girava in tondo, con i motori in funzione e i passeggeri all’interno. Quando la nave viene individuata da una pilotina con due ormeggiatori a bordo sono le 23:35. La pilotina salva il mozzo che ripete, più volte, che ci sono persone da salvare. La comunicazione viene girata in Capitaneria diverse volte, finché viene detto che “sono tutti morti bruciati”. Frase che Alessio Bertrand smentisce di aver pronunciato e lo fa davanti ai parlamentari. Quella frase, smentita dai periti di parte e forse anche smentita dal lavoro della Commissione, fa sì che nessun soccorritore salga sulla Moby Prince: il primo toccherà la nave, praticamente ancora incandescente, dopo le 3 si notte.

Ciò che è accaduto all’interno della nave è che i passeggeri, radunati nel salone De Luxe (provvisto di porte tagliafuoco), si sono ritrovati circondati dalle fiamme e dunque intrappolati. Nonostante ciò, sarebbero sopravvissuti abbastanza a lungo, magari svenuti ma vivi. Forse il tanto per tentare un salvataggio in extremis.

Loris Rispoli, dopo 26 anni di lotte, attende solo un po’ di verità e un po’ di pace. E intanto, noi dall’altra parte del mare – noi che viviamo nella città dove la Moby Prince doveva arrivare e dove i parenti aspettavano l’arrivo dei loro amati congiunti, ci chiediamo perché Olbia non ricorda anch’essa questa tragedia: in fin dei conti la tragedia del Moby Prince ha cambiato anche noi.

E allora ecco la proposta: anche a Olbia dovrebbe essere finalmente inaugurato un memoriale che ricordi questa tragedia.