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Cronaca

Olbia, le donne al tempo della Resistenza: l'Anpi Gallura le ricorda con un convegno.

Olbia, le donne al tempo della Resistenza: l'Anpi Gallura le ricorda con un convegno.
Olbia, le donne al tempo della Resistenza: l'Anpi Gallura le ricorda con un convegno.
Angela Galiberti

Pubblicato il 23 April 2013 alle 17:50

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Olbia - Cosa significa essere donna? Oggi, più che ieri, difficoltà e voglia di indipendenza. Ma al tempo della Resistenza, in piena Seconda guerra mondiale, che cosa facevano le donne italiane? Cosa ha significato per loro quel periodo storico così truce ma anche estramente vivo socialmente e culturalmente? La risposta a queste domande è arrivata - in modo un po' parziale per la verità - martedì mattina al Museo Archeologico di Olbia grazie al convegno organizzato dall'Anpi Gallura, presieduta da Domenico Piccinnu. Il simposio non è stato altro che il momento conclusivo di un lavoro svolto con le scuole superiori della Città di Olbia. Le quinte classi, presenti in sala, hanno presentato le loro riflessioni sul tema davanti ai relatori scelti dall'Anpi: la docente dell'Università di Sassari Eugenia Tognotti (in foto) e il giornalista Antonio Rojch. Quest'ultimo ha presentato il suo documentario su Joyce Lussu, donna straordinaria che vanta una biografia eccezionale e forse anche "spericolata", sempre considerando il ruolo "già scritto" che le donne - a quel tempo - dovevano ricoprire. Contessa di origine toscana e inglese, moglie di Emilio Lussu (fondatore del Psd'Az), ha viaggiato in lungo e in largo per il mondo affrontando anche la Resistenza da protagonista e ritagliandosi, del dopo-guerra, un ruolo di primaria importanza nel panorama culturale italiano. La vita di Joyce Lussu è, però - per quanto affascinante, vita di donna priviligiata proveniente da una famiglia benestante e intellettualmente viva. Una vita molto diversa da quella delle sue colleghe italiane, relegate dalla cultura sociale e dal fascismo imperante nel ruolo di "angelo del focolare" e "incubatrice". Le donne italiane, come ha raccontato la Professoressa Tognotti, a un certo punto si sono ritrovate immerse in una realtà completamente diversa. A rompere le catene della "schiavitù della casa" era stata proprio la guerra. I mariti, impegnati a combattere, non c'erano e loro - le donne - sono state costrette a uscir dalle quattro mura per guadagnare il pane per sè e per i figli. Così le donne italiane hanno scoperto una vita diversa e si sono ritrovate a desiderare la libertà e l'indipendenza. Desiderio che ha provato a sfociare anche nella Resistenza scontrandosi inevitabilmente con la cultura sociale patriarcale. Fondamentalmente le donne partigiane, all'interno dell'organizzazione, erano relegate in ruoli di assistenza subordinata un po' come a casa: preparavano da mangiare, assistevano i familiari dei defunti, riconoscevano cadaveri, curavano i feriti. All'interno delle fabbriche si occupavano della propaganda. Solo nel 44 si formarono i primi gruppi combattenti di donne. E solo poche di loro, alla fine della Guerra, ottennero il meritato riconoscimento con la partecipazione attiva nella nuova Repubblica.