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Olbia. L'alluvione senza colpevoli e le mille domande senza risposta

Olbia. L'alluvione senza colpevoli e le mille domande senza risposta
Olbia. L'alluvione senza colpevoli e le mille domande senza risposta
Angela Galiberti

Pubblicato il 30 September 2017 alle 15:11

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Olbia, 30 settembre 2017 - La sentenza pronunciata ieri dai giudici del Tribunale di Tempio, con la quale sono stati assolti tutti gli imputati per il disastro causato dall'alluvione del 18 novembre 2013, ha travolto - esattamente come un'onda di piena - tutti coloro che attendevano, da quelle aule di giustizia, una prima verità. Una verità giudiziaria, scritta su una sentenza di primo grado, che per ora ci dice che gli ex sindaci, i dirigenti e i funzionari portati al banco degli imputati sono innocenti per non aver commesso il fatto.

Questo è, per ora, tutto ciò che sappiamo: per fare qualche valutazione un po' più approfondita (e un po' meno campata in aria) dobbiamo attendere il deposito della sentenza. Saranno quelle righe a spiegare perché le persone coinvolte nel processo sono state assolte per non aver commesso il fatto; saranno quelle righe a spiegare - dal punto di vista giudiziario - cosa è successo quel terribile pomeriggio di quattro anni fa.

Il senso di scoramento che vive la popolazione olbiese in queste ore successive al pronunciamento della sentenza è però comprensibile: quel giorno, Olbia, non è stata devastata solo materialmente dal fango e dall'acqua, ma ne è stata violentata l'anima di pacifica cittadina cresciuta disordinata accanto ai canali. Canali che hanno sempre esondato e che hanno sempre fatto un po' paura, ma mai così tanta come quel 18 novembre. Canali trasformati in fiumi impetuosi, acqua che non aveva altro luogo dove sfogarsi se non nelle case, onde impetuose che hanno travolto orti, frutteti, appartamenti, auto e vite innocenti sorprese in una piccola utilitaria o bloccate in un letto di una casa al piano terra.

Quella di Olbia è una tragedia collettiva che, quasi naturalmente, ha trovato sfogo nella ricerca di un colpevole. Un capro espiatorio a cui addossare tutto, un agnello sacrificale a cui gettare addosso tutto il dolore, la frustrazione e gli errori di un qualcosa che - azzardiamo - non può avere un solo colpevole, ma ne potrebbe avere molti su diversi piani.

Può, del resto, un solo Sindaco o un solo dirigente avere sulle sue spalle tutta la responsabilità di una tragedia così grande? Ci sono troppe domande che, ancora oggi, non hanno risposta. Chi ha vissuto in prima linea l'alluvione del 18 novembre sa che il ciclone, prima di arrivare a Olbia, ha attraversato quasi perfettamente in linea retta la Sardegna orientale portando morte e devastazione. Olbia ed Arzachena sono stati gli ultimi posti dove Cleopatra ha sfogato la sua forza: perché questa informazione è rimasta sospesa nell'aria?Pensiamo all'unica squadra dei Vigili del fuoco di Olbia che, per lunghe ore, ha tentato l'impossibile da sola.

Pensiamo a quel Pai, Piano di assetto idrogeologico, che - in una città completamente attraversata da canali (alcuni persino tombati) - segnava nel 2013 come "rosse" solo due zone vicine alle foci di quattro canali (Seligheddu-Gadduresu, San Nicola-Zozò) e lasciava sguarnito tutto il resto della zona che oggi chiamiamo hi4. Pai che, lo ricordiamo, è fondamentale nei Piani di Protezione civile.

E poi, le scuole di ogni ordine e grado: quasi tutte a due passi dall'acqua, così come la Asl (accanto al Seligheddu). Non fermiamoci qua e guardiamo a unpassato un po' più lontano, quando - con normative che oggi possiamo definire "arretrate" - venivano create lottizzazioni regolari accanto ai canali o in zone note per essere aree di laminazione naturale (Zona Baratta, Mannazzu, Pasana, Isticcadeddu); e che dire dell'eccessiva tolleranza nei confronti dell'abusivismo e della scelta di sviluppare la città in zone che poi si sono rivelate critiche?

Domande finite? Assolutamente no: dovremmo infatti chiederci perché, con le tecnologie attuali precise quasi al millimetro, non esiste un servizio meteorologico capace di informare in tempo reale tutto il territorio nazionale in modo che la Protezione civile (regionale e locale) possa intervenire con mezzi e avvisi puntuali e precisi zona per zona, paese per paese.

E dobbiamo anche chiederci perché, in questo Paese, servono i morti per farci comprende le infinite fragilità dei nostri territori e delle nostre procedure. Quello che ha patito Olbia nel 2013, lo ha patito anni prima Genova e lo ha patito poche settimane fa Livorno: a conti fatti, lo patiranno tutte le città che, non avendo ancora avuto onde di piena mortali, continueranno a non aggiornare i loro strumenti di protezione.