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Cronaca

Sostenibilità e finanza: un connubio possibile

Sostenibilità e finanza: un connubio possibile
Sostenibilità e finanza: un connubio possibile
Olbia.it

Pubblicato il 03 August 2017 alle 11:35

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Olbia, 03 agosto 2017 – Anche gli investimenti strizzano l’occhio alla sostenibilità. Si tratta di una serie di prodotti che guardano con attenzione ai criteri sociali, ambientali e di governance, e che cominciano a coinvolgere sempre più investitori: non sono soltanto i cosiddetti socially responsible investments, conosciuti anche con l’acronimo di Sri, ma anche i più noti ETF - gli Exchange traded funds - che tanto bene stanno facendo all’interno del mercato finanziario. A rendere possibile questo exploit dei prodotti finanziari attenti alla parte etica dell’investimento è stato anche lo sviluppo di indici sostenibili che rispondessero ai criteri esg (enviromental, social e governance). Partendo dunque dagli indici tradizionali, gli esperti di mercato applicano alcuni filtri positivi o negativi per scremare tutti quei prodotti finanziari che non rientrano nei canoni auspicati.

Non si tratta però di una “moda” che si è fatta strada negli ultimi anni, ma che ha fatto la sua comparsa “ufficiale” nel 1990 grazie al Domini Social Index 400, indice internazionale promosso dalla società a stelle e strisce KLD. Nove anni più tardi Dow Jones e l’elvetica Sam hanno introdotto l’indice etico Djsi (Dow Jones Sustainability Index), che da allora non solo è stato il più utilizzato al mondo, ma si è anche trasformato in una vera e propria famiglia di indici etici, che accoglie tra le sue “maglie” alcune tra le più importanti società sostenibili quotate nelle borse di tutto il mondo. Ma se a Londra la sostenibilità fa capolino nel 2001, in Italia i primi segnali in tal senso si fanno registrare nel 2010, con la presentazione del Ftse Ecpi Italia Sri Benchmark e del Ftse Ecpi Italia Sri Leaders, iniziativa in grado di segnalare agli investitori quali aziende quotate a piazza Affari – e quindi operanti su territorio italiano – avessero requisiti in linea con gli ESG. Nel corso degli anni, l’offerta nazionale è però rimasta contenuta in tale ottica, e può vantare solo otto fondi passivi che si sono dichiarati etici o socialmente responsabili, che allo stato attuale non sono riusciti ad ottenere il Morningstar Sustainability Rating, ma hanno un punteggio di sostenibilità positivo.

A prescindere da questo dato, però, anche altri ETF investono in società che durante la loro produzione e commercializzazione di prodotti e servizi mantengono un certo grado di eticità e sostenibilità. Scorrendo gli indici di Piazza Affari, in Italia sono 258 gli Exchange Traded Funds che ottengono un rating di sostenibilità, indice di un effettivo investimento compatibile con le normative ESG. Di questi, quasi il 50% si mantiene nella media, facendo registrare valori di eticità medi, e solo 33 ottengono valori alti. Va però ricordato che la spinta della sostenibilità in Italia ha avuto i suoi natali in maniera ritardata rispetto al resto d’Europa, e che negli ultimi anni la sfida verso una finanza più attenta all’impatto sociale e ambientale ha fatto registrare passi da gigante. È però importante ricordare che alcuni ETF possono essere anche parzialmente rispondenti ai criteri ESG, come quelli che si basano solo sulle performance ambientali – il più noto è il Carbon Disclosure Leadership Index – e che di conseguenza gli strumenti finanziari sostenibili si moltiplicano a dismisura. A frenare però l’avanzata della finanza attenta all’impatto etico, sociale e ambientale ci sono però sia la liquidità che i suoi costi. Mediamente un titolo a forte sostenibilità presenta commissioni più alte, un deterrente per chi investe, anche se poi, a fronte di costi sostenuti più alti, le performance e la qualità talvolta fanno la differenza, come nel caso dell’indice MSCI Emerging Markets Sri.